Avevo appena terminato la lettura di un romanzo di Eskol Nevo, La simmetria dei desideri, quando mi è venuta voglia di andare su Youtube e riguardarmi gli ultimi minuti della finale con la Germania dei Mondiali 2006. SÃ, proprio quella che termina col rigore di Grosso, e con Caressa che urla. Non voglio parlarvi del romanzo, però (per una bella recensione di questo superbo romanzo, rimando a quella di Drusilla, Amica di Fuso a Ryad e Mamma nel Deserto), vi basti sapere che i protagonisti guardano insieme regolarmente le partite di calcio, e i Mondiali, appunto.
Per una strana associazione di pensieri, mi sono messa a pensare alla mia nostalgia dell’Italia, che passa anche (moltissimo) per gli eventi sportivi. Educata nella cultura dello sport, e del calcio in particolare, non poteva che essere cosÃ.
Stare fuori ti fa sentire tutto al cento per cento, e ad ogni partita, ad ogni inno suonato, ad ogni coppa vinta, concerto, gara, evento qualsiasi io sono lÃ, col cuore in gola, col magone e con la lacrima che spinge. E allora, dopo aver chiuso il libro, sono andata su Youtube e quell’ultimo rigore di Grosso me lo sono rivisto, e anche se il risultato lo conosco, un poco di effetto me lo ha fatto.
E rivedo mio nonno, veneto vecchio stampo, quell’uomo severo che non mi ha mai abbracciata (ma mi ritagliava le figure da copiare dai giornali, e mi aiutava pazientemente con la matematica), expat ante litteram insieme a mia nonna, emigrati in Francia, molto a nord e poi a Parigi, a pochi giorni dal matrimonio. Quel nonno che ha pianto a vedere Italia-Germania 4-3, che ha pianto ad ogni scalatore italiano che si alzava sui pedali al Tour de France e cominciava a lottare, con il giornale sotto la maglia, la borraccia e una camera d’aria a tracolla. E lo capisco dal profondo del cuore.
Come al protagonista de La simmetria dei desideri, anche a me a volte capita di contare gli anni in Mondiali, e a stupirmi, e a fare conti, ovviamente, anche col mio espatrio. Scontato, per me che sono nata pochi mesi prima di quella che forse è stata la più bella vittoria di sempre, e che per anni, da piccola, alla domanda “Di che anno sei?” rivolta a me, ho sentito mio padre rispondere “1982, l’anno dei Mondiali” e mia madre cominciare a raccontare che faceva cosà caldo, e lei era cosà incinta…
Se nel 2002, ai Mondiali di Corea e Giappone (quelli dell’arbitro Moreno, per intenderci) ero semplicemente a Milano, in collegio (ma per me era già un espatrio!), ad alternare le partite alla preparazione della mia sessione estiva di esami, fidanzata da anni con lo stesso compagno del liceo, nel 2006, la storica edizione in Germania, ero a Kiev, a fare ricerca per la mia tesi di laurea, il fidanzato non c’era più e tutta la mia vita era stata rivoluzionata pochi mesi prima, ed avevo visto l’Italia vincere maledicendomi per non essere a casa, a festeggiare con gli amici, ascoltando la telecronaca in ucraino, con una squadra di Polacchi dietro di me che tifava Francia. Era il periodo della Rivoluzione Arancione, ed era anche il primo Mondiale dell’Ucraina come nazione indipendente, Shevchenko era eroe nazionale ed io pensavo che dopo la laurea avrei tentato la strada del Dottorato.
Nel 2010, Mondiale di Spagna, annata per noi nefasta, vivevo in Francia, lavoravo a Monte-Carlo, e della mia vecchia vita universitaria, terminata con la laurea, non c’era traccia. Nella mia vita c’erano stati altri terremoti, e avevo incontrato un amore nuovo. Controllavo i risultati sul computer del ristorante, al front desk, insieme ai colleghi francesi, poi prendevo il mio motorino e scendevo al porto, a bere qualcosa, e tutto girava intorno a quella stagione speciale di mare, mojito alla fragola, risate, la mia libertà suggellata, finalmente, da una casa tutta per me, dopo anni di coinquilinato (e prima ancora, di collegio).
Nel 2014, Mondiale in Brasile, ed io ero in mezzo fra Hong Kong e Tokyo, che se me lo avessero raccontato al Mondiale precedente, sarei scoppiata a ridere. La Germania vinceva la finale contro l’Argentina, ed io ne gioivo (perchè mi piace proprio tanto, in ogni campo, quando impegno, dedizione, gioco di squadra hanno la meglio sul lampo di genio di un attimo, anche se forse non sono cosà affascinanti) mentre quell’amore del 2010, che mi aveva appena sposata, giá chiedeva il divorzio: ma come, tifavo i Tedeschi e non gli Argentini, il brio, l’eleganza, il calcio spettacolo? dimostrando quanti ostacoli e differenze abbiamo scavalcato per camminare sullo stesso sentiero 🙂
In mezzo a tutti questi Mondiali, gli Europei, con le loro levatacce alle 3 del mattino per uscire nella notte e trovare il bar o ristorante che trasmettessero le partite, al fuso orario del sud-est asiatico, gli inni cantanti tutti insieme, con gli italiani di questa lontana circoscrizione elettorale (Africa-Asia-Oceania, siamo tutti insieme chè siam pochini), e il giorno dopo a lavoro con gli occhi gonfi, e anche il cuore, e pure lo stomaco, a seconda del risultato.
Nel 2018 il Mondiale si giocherà in Russia, ed io probabilmente sarò ancora qui a Taipei, mi auguro insieme a quell’amore con il quale ancora ci sopportiamo, nonostante le insormontabili divergenze calcistiche, con la nostra piccola Beatrice, che ci maledirà un giorno, quando avrà bisogno di un estratto di nascita. Forse staremo discutendo di una nuova tappa del nostro viaggio, forse no.
Ma tireremo fuori le nostre magliette azzurre e mi farò un pianto a sentire l’inno, come ogni volta, e andrà bene così.
Che bello questo viaggio tra i tuoi Mondiali! Io sono l’anti-calcio per eccellenza, soprattutto perché tifo chi ci mette il cuore e non la squadra della mia nazione o città , ma ogni volta che c’è un evento sportivo la lacrima spunta sempre, e va bene così.